Gli esperti e la sovranità politica
Per anni i Cinque stelle hanno sistematicamente introdotto nel dibattito pubblico l’idea, poi elevata in parlamento con l’elezione nel 2013 di una discreta massa di sciattoni, che la conoscenza e l’esperienza non servano.
Non serve conoscere ciò di cui si parla, basta essere onesti cittadini; non servono anni di applicazione e presenza nelle istituzioni, ma bastano pochi mandati parlamentari (due) per apprendere consapevolmente l’uso della res publica. Adesso siamo arrivati alla situazione paradossale che i Cinque stelle, gli esegeti della cuoca elevata a capo di stato, sono al governo per la seconda volta, prima con la Lega e adesso con il Pd. E a loro tocca, insieme ai compagni di viaggio, occuparsi di gestire una pandemia dovuta a un virus di cui ancora, purtroppo, conosciamo poco. Sicché, in un paese nutrito per colazione, pranzo e cena con il veleno della diffidenza nei confronti di tutto ciò che proviene dalla bocca degli “esperti” e da quelli che mischiano competenze tecnico-specialistiche con conoscenza del mondo, fosse anche soltanto del loro mondo (i tecnocrati), ci siamo ritrovati al governo i Cinque stelle e un presidente del Consiglio di loro ispirazione, Beppe Conte.
Il paradosso è che ogni volta che Conte parla, fa costante riferimento ai tecnici, alla commissione tecnico-scientifica, “preso atto che…”, “tenuto conto di quanto detto da…”, “ascoltato il parere di…”. Lo fa dunque l’esponente di un movimento che ha dissacrato, massacrato, irriso, sputtanato qualsiasi competenza scientifica a vantaggio della sontuosa (oltre il 32 per cento 2018, anche se sembra passato un secolo) crescita politica del M5s. Sicché, ogni volta che Conte parla si fa scudo di quei comitati, quegli esperti che fino a ieri erano stati trattati come una banda di truffatori del popolo. Non so che effetto possa fare oggi nei confronti di quel pezzo di paese che ha votato per i grillini, quasi undici milioni di persone nel 2018, e che nel 2020 si trova costantemente sottoposto alla sua attenzione un nucleo di esperti squadernati in tv, sui social e sui giornali. È la rivincita degli esperti, si dirà. Anche me capita di pensarlo.
Mi capita di pensare che forse anche quelli che gridavano contro i vaccini oggi si ritrovano a sperare di averne a breve uno.
Mi capita di pensare che ai vertici delle istituzioni (parlamentari e non) un giorno forse non ci saranno più le Paola Taverna o i Carlo Sibilia, che oggi più furbescamente di Davide Barillari hanno smesso di parlare di vaccini o di allunaggio, facendo credere a tutti di aver smesso di ruttare.
Mi capita però anche di pensare che dietro l’ostentazione degli esperti ci sia la debolezza di quella politica che li ha disprezzati, dimenticando un assunto fondamentale del rapporto fra tecnica (e tecnici) e politica, brillantemente riassunto in un’intervista di Luciano Pellicani a Marco Valerio Lo Prete qualche anno fa: “Il politico deve rispondere con i fatti alle sollecitazioni degli intellettuali, invece questi ultimi vorrebbero che stesse sempre lì ad ascoltarli. Il primato della politica vuol dire ‘decisione sovrana’. Poi i tecnici restano indispensabili per non perdere il contatto con ciò che oggi fa muovere il mondo, la triade mercato-scienza-tecnologia”.