Via la Rai dai partiti
L’addio di Fabio Fazio alla Rai, con Luciana Littizzetto al seguito, è diventato un caso politico. L’opposizione accusa la maggioranza di voler normalizzare il servizio pubblico, cacciando voci sgradite. Le vicende interne alla Rai non mi appassionano molto, nemmeno come contribuente (visto che a quanto pare sono i quattrini l’argomento che dovrebbe renderle interessanti, boh).
Leggo da ieri toni indignati, esagitati, esagerati, sopra le righe. Sembra che con il trasloco di Fazio a Discovery siano in gioco i fondamenti della democrazia liberale, dimenticando le volte in cui la politica di segno opposto ha cercando di condizionare politicamente la Rai.
Mi colpisce poi l’uso che viene fatto della parola “cultura”; non perché sottovaluti l’impatto socio-culturale, formativo e deformante, della tv e di un programma visto da milioni di persone, ma perché spero sempre che la “cultura” stia (anche) altrove. “Le elaborazioni dello Studio Frasi su dati Auditel testimoniano di un programma ‘Che Tempo Che Fa’ che nel corso del 2023 ha sinora prodotto un ascolto medio di 2,4 milioni di spettatori per uno share dell’11,8 per cento”, scrive il Sole 24 Ore: “Nei fatti il programma di Fabio Fazio è il più visto della terza rete Rai, seguito da ‘Chi l’ha visto’ (1,9 milioni). Il tutto per una Rai Tre che ha una media di prime time dell’1,4 milioni e uno share del 7 per cento”.
La politica può anche preoccuparsi se perde un programma di successo; io però, che faccio un altro mestiere e non sono un indignato speciale, mi limito a verificare che esiste un mercato, che Fazio lavorerà altrove, che non è morto, né televisivamente né come essere umano, e che se il pubblico è affezionato a quello stile e a quelle interviste lo seguirà anche altrove.