Referendum costituzionale, le ragioni per dire NO
Poche sono le voci che si stanno alzando per dire che così il taglio del numero dei parlamentari assomiglia alla Corazzata Potëmkin di Fantozzi
Il 20 e 21 settembre ci sarà il referendum sul taglio del numero dei parlamentari. Visto il clima che c’è nel paese, non da ora grazie a decenni di sentimenti anti casta, è facile ipotizzare che la riduzione di deputati (da 630 a 400) e senatori (da 315 a 200) passerà agilmente. Anche perché la grancassa grillina può contare sul sostegno, più o meno diretto, degli alleati di governo, segnatamente il Pd. Poche sono le voci che si stanno alzando per dire che così il taglio del numero dei parlamentari assomiglia alla Corazzata Potëmkin di Fantozzi. Anche perché non sono arrivati quei correttivi in nome dei quali anche il centrosinistra aveva deciso, dopo molti no, di far passare la riforma in Parlamento.
Secondo i Cinque stelle (da Luigi Di Maio a Riccardo Fraccaro) il taglio produrrà un risparmio di 500 milioni di euro a legislatura, cento milioni l’anno. L’Osservatorio sui Conti pubblici italiani diretto da Carlo Cottarelli ha rivisto di parecchio le cifre, stimando il risparmio intorno a 57 milioni annui (285 milioni a legislatura), pari allo 0,007 della spesa pubblica. Il professor Sabino Cassese ha calcolato che il risparmio che si può ottenere è pari a un settimo del costo di un F35. “In realtà è un attacco alla democrazia parlamentare da parte di coloro che pensano alla democrazia diretta”, dice Cassese. I sostenitori del Sì al taglio non spiegano perché un parlamento ridotto sarebbe più efficiente. Tanto più se la qualità della classe dirigente espressa dai partiti resterà la stessa vista sin qui. Sicché, proprio per zelo, per ripararsi dalle critiche del popolo, sovente feroci, sono gli stessi partiti ad auto-tagliarsi, ad auto-ridursi.
La “casta” contro la “casta” insomma cerca di recuperare, in maniera improbabile, il consenso. Perché ormai nella pubblica opinione è radicata la consapevolezza che la politica è un costo, che è uno spreco da evitare, tagliare, cancellare. La politica ha contribuito ad alimentare questo sentimento anche se, va detto con forza, il caso dei cinque parlamentari che hanno chiesto e ottenuto il bonus da 600 dell’Inps non c’entra niente con il referendum. Non può dunque essere usato dalla propaganda favorevole al taglio, non può essere usato da chi dice “vedete? Sono tutti dei mangiapane a tradimento”. C’entra con la selezione dei parlamentari fatta dai partiti, che cercano una deresponsabilizzazione autoriducendosi di numero.
Il risultato lo ha descritto bene il sindaco di Bergamo Giorgio Gori su Huffington Post: “Riducendo i parlamentari da 915 a 600 l’Italia diventerà il Paese con il peggior rapporto tra numero di cittadini ed eletti, allontanando ancora di più gli uni dagli altri; verrà spazzato via il principio di rappresentatività territoriale, a danno principalmente delle aree interne e meno popolate; i parlamentari saranno scelti in liste bloccate ancora più corte e totalmente nelle mani dei leader nazionali”.
Non è la prima volta che viene decisa la riduzione del numero dei parlamentari, ma è la prima volta che viene proposto un taglio lineare. La riforma costituzionale voluta da Matteo Renzi prevedeva l’introduzione di un bicameralismo differenziato. In questo caso non c’è alcuna differenziazione fra Camera e Senato, c’è un taglio e basta.
Nel 2016 gli italiani respinsero la riforma proposta da Renzi, senz’altro criticabile ma paragonata a questa più ragionevole. Stavolta, per i motivi suddetti, è probabile che il taglio venga confermato. I Cinque stelle vedranno coronato il loro sogno antiparlamentarista.
Tra le considerazioni da fare ce n’è anche una eminentemente politica. Il centrosinistra sta appaltando il parlamento alle pulsioni populiste pur di compiacere gli alleati di governo a Cinque stelle. Il governo Conte I con la Lega li ha indeboliti, il governo Conte II potrebbe vivificarli grazie alla conquista di un traguardo insperato, con la collaborazione di chi per anni ha cercato di difendere la democrazia rappresentativa da quella diretta, che si chiama così perché c’è qualcuno che la dirige (la Casaleggio Associati).
[Una versione di questo intervento è uscita sul Messaggero Veneto]