Raggi si ricandida e il Pd non può dire tutto quello che dovrebbe dire
Zingaretti si gioca tutto nella Capitale, ma non può litigare con gli elettori grillini, di cui avrebbe bisogno in caso di ballottaggio (certo, sempre che il Pd ci vada)
L’annuncio di Virginia Raggi, che si ricandida per il secondo mandato (il terzo nelle istituzioni, in palese violazione delle regole a Cinque stelle) non giunge inaspettato. D’altronde, perché avrebbe dovuto ritirarsi? La città è una meraviglia. L’Atac è efficiente (ieri sono andati a fuoco altri due autobus, per festeggiare l’annuncio della ricandidatura), le piste ciclabili sono state finalmente completate (come no, fatevi un giro in monopattino e, fra buche e dossi, vi sembrerà di essere Harry Potter che gioca a Quidditch) e i Cinque stelle sono convinti davvero di avere fra le mani la versione femminile di Churchill.
In qualsiasi altra circostanza, di fronte ai brillanti risultati della sindaca di Roma, i Cinque stelle avrebbero imbastito una campagna contro il malcapitato o la malcapitata di turno pur di impedirne non la rielezione ma direttamente la ricandidatura. Il Pd invece, che è alleato di governo dei Cinque stelle, si accontenta di mugugnare dicendo che Roma merita “ben altro” e che presenterà un imprecisato candidato alternativo. Non ha insomma la forza di spiegare ai Cinque stelle che Virginia Raggi e le sue incompetenze non sono proprio gradite nella Capitale.
La destra – Giorgia Meloni, Matteo Salvini – è invece ferocemente pronta a dire tutto quello che il Pd non può dire. Il Pd si candida come alternativa al M5s, in teoria, ma non potrà mai esagerare nei toni né dire le cose come stanno. Non può litigare con l’elettorato grillino: i suoi voti gli serviranno nel caso, possibile, che ci sia un secondo turno.
A quel punto, il solito ritornello zingarettiano dell’alleanza “contro le destre” diventerebbe centrale. “Bisogna fermare Salvini e Meloni”, sarebbe l’appello del Pd al popolo. Non sono d’altronde soltanto Raggi e il M5s a giocarsi tutto. C’è anche Nicola Zingaretti. Zingaretti è Roma e poco altro (toh, il Lazio). Perdere nella Capitale per il segretario del Pd sarebbe come perdere un referendum costituzionale nel 2016 per uno che viene da Rignano sull’Arno.