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Per chi suona la campana in Toscana

Il centrosinistra ha comprensibilmente molta paura per quel che potrebbe accadere in Toscana, regione diventata come tutte le altre. Il Pd, quale che sia il risultato, ha l'obbligo di reinventarsi

David Allegranti
13 set 2020
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Il centrosinistra ha comprensibilmente molta paura per quel che potrebbe accadere in Toscana. Una regione che è diventata come tutte le altre. Non da adesso, peraltro. Comunque andrà a finire, infatti, bisognerà smetterla – lo diciamo ad alcuni annoiati commentatori – di chiamarla “regione rossa”. La Toscana non è più così da un bel po’ di anni, come ha spiegato Mario Caciagli in un suo libro del 2017 (“Addio alla provincia rossa”, Carocci). 

Gli unici a non averlo capito in finora, mentre gli elettori nel frattempo regalavano città su città al centrodestra (Arezzo, Pisa, Siena, Massa, Grosseto, Pistoia, ne cito solo alcune), sono stati i dirigenti del Pd. Probabilmente, se il centrosinistra dovesse vincere le elezioni (cosa possibile), nessuno di loro si interrogherebbe sul mutamento sociale ed economico di una regione che non cresce più.

Al centrosinistra, toscano e nazionale, non interessa un cambiamento ma posticipare di cinque anni la sconfitta. 

Non interessa capire le ragioni di una progressiva perdita di peso politico e di senso in tutta la regione, ma passare la nottata del 20 e 21 settembre. 

Dopo quel giorno, in caso di vittoria del Pd, non cambierà assolutamente niente. Firenze continuerà con il suo pippobaudismo della “meglio città che tutto il mondo ci invidia”; i partiti della coalizione di centrosinistra saranno in competizione all’interno del consiglio regionale, con Italia viva che adesso punta a fare l’ago della bilancia (ha dovuto rivedere le ambizioni del 10 per cento e ora i renziani dicono, sempre sottovoce, di mirare al 7-8 per cento massimo, ma già sarebbe un grosso risultato); i dirigenti romani del Pd tireranno un sospiro di sollievo nella speranza di non perdere, l’anno prossimo, la Capitale. 

La politica non è più l’arte del compromesso, ma l’arte dell’accontentarsi. Non chiede più il realismo dell’impossibilità, ma la speranza della sopravvivenza. Il centrosinistra toscano – questa campagna elettorale lo ha dimostrato – è politicamente stanco. Per le idee, la selezione della classe dirigente. Si trascina verso la vittoria, forse, ma è la sua ultima chiamata, se non saprà reinventarsi. D’altronde, a tutti nella sua vita è capitato di doverlo fare. Perché mai chi ha governato da sempre in Toscana dovrebbe esserne esente?

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