Non si parla abbastanza dell’omicidio del professor Samuel Paty, sgozzato dal 18enne Abdullakh Anzorov per aver mostrato in classe delle vignette su Maometto. Non ci sono prime serate quotidiane dedicate all’esecuzione di un professore caduto per la libertà.
Perché di questo stiamo parlando: della nostra libertà come cittadini laici di poter parlare di religione, anche in termini dissacranti, senza per questo sentirci in pericolo. Non so se c’entrino l’emergenza sanitaria e le mille preoccupazioni per futuri lockdown e difficoltà socio-economiche. Il timore è che in realtà tutto questo ci sembri molto lontano, in un’altra epoca, in un altro spazio. In un altro mondo.
Eppure ogni giorno emergono dettagli dell’omicidio di Paty per mano di un terrorista che fanno accapponare la pelle. Scrive Stefano Montefiori sul Corriere della Sera:
Secondo il procuratore anti-terrorismo Jean-François Ricard, il 18enne rifugiato ceceno Abdullakh Anzorov si è presentato venerdì pomeriggio davanti alla scuola media Bois d’Aulne di Conflans Sainte Honorine conoscendo il nome della sua vittima designata, il professore di Storia e Geografia Samuel Paty, che il 5 ottobre aveva tenuto una lezione di educazione civica mostrando in classe alcune vignette su Maometto, ma senza saperlo identificare. Così ha offerto circa 350 euro ad alcuni ragazzi perché glielo indicassero, spiegando di voler “filmare il professore per obbligarlo a chiedere perdono per le caricature del profeta”, e anche per “umiliarlo e colpirlo”. Due di loro hanno accettato. In questo modo il terrorista islamico ha potuto individuare Samuel Paty e lo ha decapitato.
Quanto vale la vita di un uomo? Evidentemente poco.
Ha ragione dunque il mio amico e collega Giulio Meotti a richiamare tutti – nei suoi interventi sul Foglio – a un sussulto di personale nostra dignità:
“Non ho commesso alcun reato nello svolgimento delle mie mansioni”. Sono le parole che Samuel Paty aveva depositato alla stazione di polizia quattro giorni prima di essere decapitato. Si, era andato dalla polizia a parlare delle denunce dei genitori, presentandola a sua volta per diffamazione. È stato lasciato solo, Samuel. Era una settimana che le accuse di “islamofobia” lo tormentavano. Doveva essere protetto. Invece il terrorista addirittura si scambiava messaggi con uno dei genitori degli allievi di Samuel. Qualcuno dovrà chiedere scusa al figlio, un bambino di cinque anni, che da venerdi non ha più il padre. Porta con te con orgoglio queste parole che suonano come un testamento: “Non ho commesso alcun reato nello svolgimento delle mie mansioni”. Hanno scannato un innocente.
Samuel Paty è rimasto da solo a combattere contro qualcosa di feroce, spietato. Qualcosa che ci chiama in causa.
La sua solitudine è la nostra.
Parole sante!
In compenso urliamo sdegnati, chiedendone la carcerazione a vita e punizioni esemplari, contro un povero ragazzo disagiato che si è fatto filmare mentre prendeva a calci un gattino. Abbiamo perso ogni contatto con la realtà. Da tempo sostengo che anche il problema degli immigrati sarebbe risolto aggiungendo una cucciolata di gattini in ogni barcone in arrivo: "sbarcateli subito! Quei poveri gattini stanno soffrendo" :-(