Lo "spazio morale" di Goffredo Bettini
Lo stato d’emergenza ha causato riflessi pavloviani di massa, ma negli ultimi giorni si sta superando il livello di sopportazione consentita. E siccome, come diceva già un arguto filosofo del linguaggio (Nanni Moretti) le parole sono importanti, è bene prestare attenzione a cosa dicono, teorizzano e scrivono gli ultrà del pensiero neo-populista.
Su quelli che hanno firmato l’appello del manifesto mi sono già espresso altrove. C’è una sinistra che ha riscoperto l’adagio montanelliano del turarsi il naso. C’è chi invece ha scelto di non turarsi un bel niente e preferisce sottrarsi alle descrizioni macchiettistiche di chi non vince le elezioni e spera di usare lo stato d’eccezione per prolungare la propria sopravvivenza politica.
Chi parla di “agguati” partecipa proprio alla descrizione macchiettistica di qualsiasi posizione minimamente critica nei confronti dell’esecutivo, delle forze che lo compongono. Sarebbe bello strafottersene, ma non si può, come si capisce leggendo Goffredo Bettini sul Corriere della Sera, uno dei teorici non solo del governo Pd-Cinque stelle ma, già a suo tempo, di un nuovo amalgama, la famosa “casa comune” teorizzata da Dario Franceschini.
“Non esiste lo spazio morale, oltre che politico, per ordire trame e ribaltare l’esecutivo”, dice oggi Bettini. A parte il fatto che concorrere al cambio di una maggioranza di governo fa parte del gioco democratico e non è una “trama” (e fa pure ridere che lo dica Bettini, principe del realismo romano e romanesco), ma il passaggio inquietante è quello sullo “spazio morale”. Il lessico è sostanza, i limiti del nostro linguaggio sono i limiti del nostro mondo, per dirla in termini wittgensteiniani. Ma non deve stupire: Bettini appartiene a una tradizione politica che circoscriveva (e circoscrive) gli avversari identificandoli in termini di (im)moralità.