La maschera delle elezioni europee
Si avvicinano le elezioni europee e gli animal spirits dei partiti politici riacquistano vigore. Merito o colpa anche del sistema proporzionale. C’è Matteo Salvini che gareggia con Giorgia Meloni, spiegando che quando c’era lui i migranti NON arrivavano in orario. E c’è Beppe Conte, che ha ingaggiato un serrato duello con Elly Schlein sull’accoglienza, spiegando che il Pd la vuole “indiscriminata”. Al che il Pd ha replicato che Conte parla come Meloni e Salvini.
L’atteggiamento dell’ex presidente del Consiglio, già punto fortissimo di riferimento eccetera eccetera non deve stupire. Gli è stato preziosissimo per la campagna elettorale dell’anno scorso, quando il M5S sembrava destinato a scomparire e invece, invece no. L’avversario principale dei Cinque Stelle non sono Fratelli d’Italia o Lega; è il Pd. Ed è sempre stato così, anche prima che Conte diventasse capo dei populisti italiani. Il M5S non nasce semplicemente contro i partiti tradizionali, nasce contro il Pd, tentando di occupare gli ampi spazi lasciati liberi dal moralismo ortopedico-pedagogico di sinistra.
Di fronte all’assalto al cielo lanciato dai Cinque Stelle (ben riuscito, va detto), il Pd in questi anni si è affidato al M5S per costruire qualcosa che superasse i confini di una mera alleanza elettorale. Non a caso Dario Franceschini, sempre pronto a confrontarsi con tutti tranne che con le masse, teorizzò la “casa comune” con il M5S. Il Pd ha scelto di delocalizzare il rapporto con il popolo, individuando nei Cinque Stelle il giusto surrogato per ritrovare la connessione sentimentale con chi aveva smesso di votare per sinistra e centrosinistra. Lo ha fatto a caro prezzo, accettando il taglio del numero dei parlamentari dopo aver votato per tre volte no in Parlamento.
Dopo la vittoria di Elly Schlein, il Pd ha cercato di rinverdire il dialogo con Conte. La “foto di Firenze”, le iniziative parlamentari da avviare insieme, l’idea di una opposizione unitaria al governo, e via così. Alla fine, sul salario minimo c’è stata l’intesa, ma sul resto no. Non sulla guerra - è lì che eventualmente si potrebbe consumare uno strappo, anche dentro il Pd - e non sulla gestione dei migranti, laddove Conte sceglie ancora una volta la linea Di Battista, il più fascio-comunista tra i populisti. Conte ha insomma rimesso la maschera già utilizzata durante l’ultima campagna elettorale. Ha funzionato una volta, perché non usarla una seconda?