La maggioranza Ciampolillo-Nencini
Beppe Conte ieri si è dimesso, in ritardo di settimane. E ora?
Beppe Conte ieri si è dimesso, con parecchie settimane di ritardo. Avrebbe potuto farlo in realtà già a dicembre, se avesse preso coscienza di quel che stava capitando alla maggioranza di governo, e non su dettagli insignificanti (Recovery Plan, Mes). Ha invece rimandato e si è perso tempo prezioso.
Si sarebbe potuto dimettere persino dopo il voto di fiducia al Senato (con quei 156 striminziti senatori a salvare il governo). Non l’ha fatto neanche in quell’occasione, incaponendosi sulla improbabile ricerca di “responsabili” o “volenterosi” (come cambia il linguaggio della politica: un tempo il M5s li avrebbe definiti voltagabbana) salvo scoprire che la maggioranza Ciampolillo-Nencini non è sufficiente a gestire l’ordinario, figuriamoci lo straordinario.
Per questo, siccome in politica l’aritmetica conta parecchio, basta vedere i numeri per capire che anche adesso, nonostante le dimissioni di Conte, non ci può essere una coesa maggioranza di governo. Inevitabilmente, dunque, torna al centro Matteo Renzi. Nel Pd sono giorni che lo dicono. Da Graziano Delrio ad Andrea Marcucci. Anche Base Riformista, la componente parlamentare più numerosa del Pd, ha aperto – seppur con diversi paletti – a Renzi. È una questione di numeri: senza Italia viva, non ci può essere maggioranza solida.
Persino gli uomini e le donne di Zingaretti hanno smesso di dire “mai più con Renzi”. Basta leggere le parole dell’ideologo dello zingarettismo, Goffredo Bettini, ieri:
Sono fermamente convinto che attorno al Premier Conte, che oggi incontrerà il Presidente della Repubblica Mattarella per dar seguito alle decisioni annunciate in Consiglio dei ministri, si possa in tempi brevi e in modi chiari allargare la maggioranza per un governo repubblicano e europeista. Non dobbiamo perdere neppure un minuto perché tante sono le cose da fare, a partire dal decreto sui ristori alle categorie colpite dalla crisi. E non deve ricominciare uno stucchevole dibattito politicista e astratto, mettendo in campo ipotesi diverse di premiership o di alleanze che disperderebbero il patrimonio accumulato tutti assieme in questi mesi e che porterebbero l’Italia a nuovi momenti di confusione e incertezza.
I veti su Italia viva, semplicemente, sono spariti. Lo dice apertamente Debora Serracchiani, vicepresidente del Pd: “In questo momento abbiamo il dovere e il compito di parlare con tutti: se Renzi non mette veti su nessuno noi non mettiamo veti su nessuno”. Ma era chiaro già dieci giorni fa. A tutti, fuorché Conte.
Non si pensi, tuttavia, che la questione possa essere risolta con una triangolazione fra Conte, Pd e Renzi. S’affaccia un problema enorme per la maggioranza in ricostruzione: il M5s.
Da settimane, incomprensibilmente, i media hanno smesso di occuparsi della crisi d’identità, persino politico-culturale, che vive il M5s, che è pure più grave di quella di Italia viva, un esperimento politicamente fallito finora (non riesce a schiodarsi dal 2-3 per cento nei sondaggi). È il partito di maggioranza relativa del Parlamento, quello che ha preso più voti di tutti nel 2018, ma è stato finora incapace di proteggere il presidente del Consiglio che ha scelto per due volte, prima per governare con la Lega e poi con il Pd.
Lo scrive bene Paolo Ermini:
Ieri sera a “CartaBianca” il ministro Boccia ha detto che i Cinquestelle portano sulla pelle le ferite dell’alleanza con la Lega di Salvini. A questa è ridotta la politica del Pd. Un’analisi ridicola quella del ministro. Il M5S è nato sugli anatemi dell’antipolitica; è cresciuto rincorrendo - tema su tema - il consenso degli italiani; per anni non ha preso una decisione importante senza consultare algoritmi e sondaggi, e quando i test erano incerti non l’ha presa; ha sostenuto Salvini quando ha chiuso i porti contro gli immigrati e varato con lui i decreti sicurezza; ha bollato fin dalla sua nascita il Pd come il partito del malcostume e poi, pur di non andare alle elezioni e tornare a casa con il suo esercito di parlamentari incompetenti, ha fatto il governo con il Pd. Il M5S è la forza politica che incarna il peggior opportunismo, ondivaga e trasformista, e Boccia la dipinge come una fanciulla innocente caduta nella trappola dell’orco. Ridete pure. Oppure piangete.
Il che la dice lunga non soltanto sul M5s, ma anche sul Pd, un partito che pur non dicendo niente resta stabile nei sondaggi. Un partito che è stato culturalmente subalterno ai grillini in questi mesi, al punto di compartecipare al voto sul taglio del numero dei parlamentari. Finora il Pd ha usato Salvini come spauracchio, ma per quanto ancora la paura dei sovranisti potrà essere un alibi sufficiente?