Allora, ordunque, è qualche giorno che leggo cronache a proposito di una presunta grande fuga da Twitter, noto come X da quando lo ha comprato Elon Musk. Giornali, personaggi illustri, politici.
Il Guardian due giorni fa ha annunciato che non pubblicherà più niente su X. “È un aspetto che abbiamo preso in considerazione da tempo, visti i contenuti spesso inquietanti promossi o trovati sulla piattaforma, tra cui le teorie cospirative di estrema destra e il razzismo. La campagna elettorale per le elezioni presidenziali statunitensi non ha fatto altro che sottolineare ciò che consideriamo da tempo: che X è una piattaforma mediatica tossica e che il suo proprietario, Elon Musk, è stato in grado di usare la sua influenza per plasmare il discorso politico”, ha scritto il Guardian in un articolo online.
“Elio e le storie tese” hanno deciso di chiudere il loro profilo su X, “ormai sempre più simile a una cloaca”.
“Riteniamo Elon Musk un pericolo per la democrazia e la libertà e non abbiamo intenzione di continuare a far parte di una piattaforma di cui è proprietario e che utilizza spudoratamente per la sua orribile propaganda. Ringraziamo tutti coloro che ci hanno seguito negli anni: ce ne andiamo e vi invitiamo a fare lo stesso”.
È poi arrivato il turno di un altro cantautore, Piero Pelù, che ha pubblicato una foto di sé stesso su Instagram intento a rivolgere il dito medio, suppongo allo stesso Musk:
“Ciao a tuttt, visto le pericolosissime dichiarazioni neo totalitarie e neo imperialiste esternate da E. Musk ho deciso di chiudere il mio profilo sulla piattaforma “X” di sua proprietà. Molti mi dicono che sono un folle a prendere questa decisione ma credo che oggi sia fondamentale dare dei segnali chiari di dissenso civile verso chi sta restringendo sempre più le nostre libertà personali anche attraverso le propagande politiche. Dopo avere già ridotto a semplice vetrina la mia pagina FB ora chiudo X per un aperto dissenso verso chi la gestisce. Ai miei 450.000 amici dico vediamoci su Instagram e ai miei concerti, nei bar, nelle strade, nelle librerie dove la vita vera e tangibile ancora esiste. A presto ovunque!”, ha scritto Pelù.
E via così.
Ora, io non so chi scegliere fra chi annuncia il ritiro dalle scene di Twitter e chi dice di volerci restare per “combattere”.
Mah. Faccio fatica a capire. Non ci sono guerre da fare su Twitter, che è un mezzo — finanche di manipolazione — ma non una trincea. Le trincee sono altre e sono altrove.
Quel che manca è il senso del ridicolo, del limite, e mi pare che troppa gente abbia voglia di combattere guerre finte come surrogati di quelle vere che per fortuna sua non deve patire.
Sto forse dicendo che Twitter/X è il posto migliore del mondo? No. Ma quando mai lo è stato, oggettivamente? E soprattutto, fuori da Twitter, il discorso pubblico è meno tossico?
Se uno accende la tv e guarda un talk show ha la sensazione di essersi perso qualcosa di fondamentale per la vita pubblica dell’Italia?
Si sente escluso da una conversazione profonda e soddisfacente se non guarda i cosiddetti programmi di approfondimento?
È insomma tutta colpa dei social media?
Che i social abbiano un ruolo nella comunicazione politica è innegabile. Almeno questo è quello che penso, altrimenti non avrei scritto un libro su Donald Trump, appena uscito, per raccontare il confine sottile che esiste fra la persuasione e la manipolazione.
La manipolazione trumpiana esiste, ma prescinde dall’uso malevolo di Twitter.
L’idea che esistano dei “fatti alternativi”, per citare un’espressione cara alla prima amministrazione Trump, è direttamente legata alla crisi della fiducia, problema che non riguarda soltanto la politica e le istituzioni.
La questione per quanto mi riguarda però sta lì. In quella crisi di fiducia, non nell’uso di X o Twitter, che è e rimane un mezzo di comunicazione come altri. Anche nei suoi aspetti deteriori.