Non so se esagero con le mie preoccupazioni, ma mi sembra che il dibattito pubblico attorno al conflitto in Ucraina stia degenerando. Forse paghiamo decenni di sentimenti anti-occidentali, anti-americani, anti-europei. Forse c’è una pubblica opinione presa da altro perché, come dice Alessandro Di Battista, “non è la guerra nostra”. Non è nostra perché non siamo lì fisicamente o perché nessuno ha invaso noi, ma è nostra perché facciamo parte di una comunità alla quale sembra volersi richiamare anche l’Ucraina, nel suo tentativo di resistere a una potenza nucleare che, a dire il vero, pensava di risolvere in tre giorni una guerra che invece va avanti da un mese. Quella Russia che schiera un esercito di macellai ben descritto da Anna Politkovskaja nella “Russia di Putin”, da pochi giorni tornato in libreria in versione tascabile per Adelphi. Un libro lucidissimo che racconta con precisione e drammaticità molti aspetti dei primi anni del potere putiniano, a partire dalla violenza dei militari russi (il caso di Yuri Budanov è tragicamente esemplare).
Siamo dunque distratti da altro, dalle bollette, dalla benzina, dall’emergenza sanitaria? Può darsi, ma mi pare che il problema sia più profondo e non vorrei che le bollette e la benzina, pur importanti, fossero solo una scusa per tentare di minimizzare il fatto che siamo un Paese attraversato da profondi sentimenti anti-Occidentali.
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