Il linguaggio di verità di Beppe Conte
Il leader del M5S Beppe Conte è andato a Lampedusa, epicentro degli sbarchi sulle coste italiane, per dire che il Pd è per l’accoglienza indiscriminata e che il governo Meloni ha fallito. E il M5s per che cosa è, visto che ha governato sia con Lega sia con il Pd? Ah, saperlo...
—
Si viene e si va
Nel Pd si va e si viene, è sempre accaduto. L’attuale segretaria, Elly Schlein, nel 2015 lasciò il partito in polemica con Matteo Renzi, sul Jobs Act. Lo “scissionismo” è materiale per partiti di sinistra, non certo per quelli del destra-centro. Saper gestire politicamente il dissenso non è semplice, per chi svolge un mestiere usurante come quello di segretario dei Democratici, e ancora non è chiaro se lo sappia fare la nuova leader del Pd. Di fronte agli addii degli ultimi mesi, da Beppe Fioroni ad Andrea Marcucci, a Enrico Borghi, la segreteria se l’è cavata con un’alzata di spalle. Ora se ne sono andati via in trenta, dal Pd in Liguria, e Schlein ha risposto con una certa aria di sufficienza. Al che viene da chiedersi se quella del nuovo Pd non sia una prosecuzione della rottamazione con altri mezzi.
“Penso che il Pd debba abituarsi ad ascoltare opinioni diverse e restare unito; se chi la pensa diversamente dalla segretaria se ne va, come hanno fatto i trenta liguri, la democrazia va a farsi benedire”, ha notato l’ex capogruppo del Pd al Senato Luigi Zanda in un’intervista a Domani: “D’altro canto quando la segretaria dice di chi se ne va aveva ‘sbagliato indirizzo’ e ‘resiste al cambiamento’ usa espressioni non da partito democratico ma da partito padronale”. Assai perplessi anche i riformisti dell’opposizione a Schlein, da Piero Fassino a Lorenzo Guerini, che notano una progressiva radicalizzazione del Pd a sinistra. È, per la verità, del tutto coerente con il profilo di Schlein, che è stata votata per questo. Basta vedere, oltre a chi se ne va, anche chi torna. Come l’ex civatiano Luca Pastorino, deputato, fresco di rientro nel Pd. “Non ho bisogno di dare altra spiegazione se non indicando la segretaria: basta lei, che ha impostato per il Pd una strada moderna, che indica priorità politiche chiare”, ha spiegato. È rientrato anche l’ex segretario della Cgil, che a Repubblica ha spiegato: “Rientro perché trovo interessante ed efficace il lavoro che sta facendo la nuova segretaria e condivido la linea politica che sta praticando. Penso sia giusto e utile dare una mano per aiutare il gruppo dirigente, mettendo a disposizione le mie competenze”.
Anche la sinistra, insomma, non è immune al fascino della leadership. Gli “ex voto” della sinistra hanno scelto di tornare nel Pd. Sono quelli che hanno permesso a Schlein di vincere le primarie a febbraio. C’è tuttavia una domanda alla quale ancora non è stata data risposta. Tra chi ha votato Schlein c’è anche chi lo ha fatto per mandare un segnale al partito che o aveva smesso di votare o non aveva mai votato. Questi elettori di sinistra, che hanno scelto Schlein contro Stefano Bonaccini, sceglieranno Pd alle prossime elezioni amministrative, regionali, politiche? In fondo l’effetto Schlein è tutto qui, nella capacità di riportare a votare quelli Pd quelli che l’hanno scelta alle primarie del 26 febbraio.
“La differenza tra la vittoria e la sconfitta”, per citare l’Al Pacino di “Ogni maledetta Domenica”, è una questione di centimetri. In questo caso, di voti. L’avvicinarsi delle elezioni europee, dove si vota con il sistema proporzionale, inevitabilmente radicalizzerà l’offerta politica dei partiti. Lo stiamo già vedendo con Matteo Salvini e la Lega. Sul Pd pesa, ancora, la questione della guerra. “Dalla sua biografia, di donna con un cognome straniero e un background culturale internazionale, mi aspetto un’attenzione meno conformista non solo sulla guerra ma soprattutto in politica estera”, ha detto di recente Rosy Bindi in “Quale Pd” (Laterza): “La guerra si sta combattendo in Europa ma le sue conseguenze non sono affatto territoriali bensì globali. Si sta delineando un nuovo ordine mondiale che noi non dovremmo subire ma anzi orientare. Anche se nella campagna congressuale non le ho mai sentito spendere una parola su questa questione cruciale, adesso vorrei sentire un linguaggio nuovo, perché se vogliamo ricostruire l’identità di un Pd di sinistra, in questo momento bisogna ripartire dalla politica estera”.
Tra chi ha votato o anche solo idealmente sostenuto Schlein c’è chi, da sinistra, chiedeva un cambio di linea sul sostegno finanziario e militare all’Ucraina. Sono i primi potenziali delusi del nuovo Pd.