Come parla un populista
Un estratto del mio ultimo libro dedicato a Donald Trump. E un regalo per chi si abbona
Oggi, nel giro di un’ora, il presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump ha detto — fra le altre cose — di voler annettere il Canada e di non escludere di occupare militarmente il Canale di Panama e la Groenlandia. Poi ha invitato gli alleati della Nato a spendere almeno il 5 per cento del PIL per la difesa e infine ha spiegato di voler ribattezzare Golfo d’America il Golfo del Messico. Verrebbe da ridere se non fosse tutto così maledettemente serio.
E ancora manca qualche giorno all’insediamento di Trump, che tornerà presidente degli Stati Uniti, capo del mondo libero, il prossimo 20 gennaio. Sarà interessante studiare il secondo mandato del tycoon, perché ci riguarderà più da vicino di quanto si creda.
Di seguito, l’incipit del mio libro su Trump uscito da qualche settimana.
Ai primi prossimi 20 lettori che si abbonano alla newsletter (abbonamento annuale) invio “Come parla un populista” in regalo.
POPULISMO E SOCIAL MEDIA
“L’establishment corrotto sa che siamo una grande minaccia per il loro potere. Sanno che se vinciamo il loro potere non c’è più, e viene restituito a voi, il popolo... Ma tutto dipende se lasciamo che siano i media corrotti a decidere del nostro futuro, o se lasciamo che sia il popolo americano a decidere del nostro futuro”.
Donald Trump, 13 ottobre 2016
1.1 I politici e i social
I social media sono largamente utilizzati dai politici contemporanei, che hanno come obiettivo il maggior coinvolgimento dell’elettorato, secondo uno schema di interazione orizzontale in grado di eliminare non soltanto le differenze spaziali, geografiche, sociali, ma anche quelle relazionali. Sui social, il candidato o il politico già istituzionalizzato riescono ad aumentare il grado di prossimità all’elettore, trascinato nelle dinamiche politiche ma anche personali, talvolta suo malgrado. Il processo di intimizzazione della politica viene amplificato dall’uso, e talvolta dall’abuso, di social network e social media. Il politico sui social racconta anche la propria vita, cercando un dialogo costante con l’elettore.
A ogni epoca politica corrisponde un maggior utilizzo di uno strumento rispetto a un altro. Warren G. Harding per primo usò la radio per rivolgersi ai suoi compatrioti. Franklin D. Roosevelt si inventò le fireside chats, le chiacchierate al caminetto trasmesse via radio a milioni di cittadini; un modo, per il presidente, di entrare in contatto con l’opinione pubblica.
John F. Kennedy catturò l’attenzione della pubblica opinione grazie al suo charme giovanile via televisione. Bill Clinton usò l’email per comunicare con l’astronauta John Glenn a bordo del Discovery, mentre stava orbitando attorno alla Terra.
Durante la sua attività, Barack Obama caratterizzò le proprie campagne elettorali con una presenza trasversale su ogni mezzo: podcast, Twitter, Myspace, Facebook, YouTube. Donald Trump, oggetto di studio del presente lavoro, si è caratterizzato per l’uso di Twitter, oggi noto come X, almeno fino a quando non ne è stato espulso dalla precedente proprietà; il nuovo padrone, Elon Musk, gli ha restituito l’accesso ma Trump, che nel frattempo aveva creato un altro social media, Truth Social, ha deciso di ricominciare a usare il vecchio strumento solo in un secondo momento.
Possiamo persino sostenere, con una forzatura, che Trump attraverso il social media inventato da Jack Dorsey abbia governato gli Stati Uniti, facendo un uso performativo del mezzo. Non si è limitato a esprimere le proprie posizioni pubbliche utilizzando la piattaforma nata per il microblogging e poi diventata una piattaforma ad ampio spettro, sulla quale oggi è anche possibile effettuare delle dirette video in streaming, ma ha compiuto atti che avevano un valore politico immediatamente esecutivo oltre che comunicativo. Scritti spesso in caps lock, che secondo le regole della netiquette equivale all’urlo nella nostra conversazione orale, i tweet di Trump sono diventati una fonte primaria di informazione per i giornalisti. Non tutto ciò che i politici comunemente dicono è una notizia, ma nel caso del presidente degli Stati Uniti d’America, che ha scelto un determinato mezzo per comunicare con il pubblico e con la pubblica opinione, qualsiasi sua parola è potenzialmente oggetto di interesse per la cittadinanza. Non fosse altro per le eventuali conseguenze dirette.
Trump ha utilizzato Twitter fino alla sua espulsione in maniera massiccia anche per attaccare gli avversari, non soltanto i Democratici, ma anche quelli interni al Partito Repubblicano, contribuendo ad aumentare quella che Ezra Klein (2020) considera una autentica polarizzazione dello scontro. Una dinamica che certamente non ha inventato Trump, ma di cui l’ex presidente degli Stati Uniti d’America ha beneficiato per peggiorare ulteriormente lo stato di salute del dibattito pubblico statunitense. La polarizzazione è una chiave di lettura utile a interpretare la vita sociale e politica anche di altri Paesi, non solo degli Stati Uniti. A patto che si tratti di un governo che consente l’alternanza e nel quale la competitività fra gli attori politici è garantita dalla possibilità che uno possa prevalere sull’altro. In altre circostanze, in uno stato autoritario, la polarizzazione dello scontro è resa impossibile dalla permanenza al potere, un potere repressivo, di chi governa autocraticamente. Come nel caso della Russia di Vladimir Putin.
1.2 La persuasione
Social network e social media sono strumenti di persuasione. Far cambiare idea alla “gente” rientra nelle abilità del Politico (è un idealtipo), la cui crisi autoreferenziale può essere identificata nella necessità, consustanziale anche al resto delle attività sociali, di parlare costantemente e unicamente a sé stessi e al proprio pubblico. Le echo chamber sono un principio noto della comunicazione online, non solo in ambito politico; le conversazioni procedono per accumulo tra i soliti noti, che assumono non il carattere di mera community, preziosa in alcune attività professionali di puro storytelling, ma di clan, con il rischio di impoverire la conversazione, sterilizzandola e rendendola innocua, incapace dunque di generare dibattito. Anche la politica soffre di pregiudizi, bias di conferma (Pinker, 2021). Un modo per risparmiare tempo ed energie: non si deve convincere chi è già convinto, ma si cerca il consenso di chi è già uniformato, anche se non è detto che il metodo possa durare a lungo. Persino mantenere intatta un’idea o una convinzione può costare fatica.
La persuasione rientra sì tra le abilità del Politico, ma deve avere un contesto sociale nel quale verificarsi e una funzione teleologica, dunque un obiettivo strategico chiaro. Si deve dunque avere l’intenzione di voler persuadere qualcuno, nel tentativo di convincerlo della bontà delle proprie azioni politiche o persino delle proprie condotte morali. Ma non è detto che questa intenzione sia radicata. Anche perché comporta un rapporto interpersonale dialogico, che consiste anzitutto nella capacità di saper interpretare, da parte dell’attore politico, chi si ha di fronte a sé. La fuga intramondana e il richiudersi in sé stesso hanno invece il vantaggio di una
separazione totale dal pubblico. È quel che capita a certi parlamentari che non debbono dare conto delle proprie attività politiche, in virtù di leggi elettorali che permettono di controllare con precisione le liste elettorali. Per essere persuasivi bisogna dunque accettare di contaminarsi con l’Altro, per dirla con un termine caro a Byung-Chul Han (2017).
Non bisogna tuttavia dare per scontato che questa volontà sia parte del patrimonio politico-culturale di tutti gli attori politici, dai singoli leader ai partiti nella loro interezza.
1.3 Il confine labile tra persuasione e manipolazione
Ma quello che qui interessa, ai fini della nostra trattazione a proposito di Donald Trump e dell’uso dei mezzi di comunicazione online, è il confine labile che esiste fra persuasione e manipolazione, come insegna il Gorgia8 di Platone a proposito della distinzione che c’è fra l’arte e l’adulazione.
Come detto, la persuasione rientra fra le abilità tecniche del Politico. Non è però l’unica sua abilità. Esiste anche la manipolazione dei dati di fatto e delle interpretazioni, entrambe possibili. La realtà può essere manipolata in molti modi, a vantaggio di una narrazione che intenda far leva su paure, emozioni, sentimenti irrazionali presso l’elettorato. Come spiega George Lakoff (2009), l’irrazionalità fa parte della politica. Il linguista invita a un esercizio critico e autocosciente per rendere conscio il pensiero inconscio, per capire meglio come purtroppo leggiamo la realtà anche attraverso gli “stati nervosi”, per dirla con Williams Davies (2019), anche senza rendercene conto. Senza accorgercene, prevale nel nostro agire quotidiano, anche in politica o semplicemente al momento del voto, l’emotività.
L’emozione ha certamente una sua intelligenza, ma le decisioni affrettate condotte sulla base della manipolazione arricchiscono il guadagno elettorale dei manipolatori e non l’esperienza positiva della cittadinanza, la quale si trova per questo a prendere decisioni anche contro il proprio interesse. È in queste pieghe che lavora l’agire manipolativo; si presenta come verità certificata quella che è solo un’impressione priva di alcun fondamento scientifico. Un’impressione verosimile ha qualche elemento di verità, o comunque di attinenza al vero. Il risultato di questa attività in politica sono le credenze (errate), ma in ambito scientifico, spiega Marco Ciardi nei suoi lavori, il prodotto finale sono le pseudoscienze. Ma che si tratti di politica o di scienza, il rapporto con la conoscenza è lo stesso:
Kant era contrario all’idea di una conoscenza fondata su credenze private e personali. In linea con i valori che avevano caratterizzato la nascita della scienza moderna in Europa, egli sosteneva la possibilità di una conoscenza fondata unicamente su principi pubblici e condivisibili da tutti. Chi si metteva fuori da questa logica, poteva essere qualificato solo e unicamente come un pazzo, come avrebbe ribadito nell’Antropologia pragmatica, un importante testo del 1798: “L’unico segno generale della pazzia è la perdita del senso comune e il subentrare invece del senso logico personale”. (Ciardi 2014, posizione 831, edizione Kindle)
Sperare che un politico abbia un approccio scientifico è pura ingenuità? Una domanda che suona ancora più ingenua nel caso di Trump, accusato, non a torto, di sostenere, promuovere e diffondere tesi anti-scientifiche. D’altra parte però si potrebbe obiettare che l’uso della retorica fa parte delle regole del gioco politico- pubblico, dove le maglie del rapporto fra verosimiglianza e realtà sono abbastanza larghe. Vero. Ma avere gli strumenti per identificare la retorica e i suoi effetti e capire la linea netta per quanto sottile che c’è fra persuasione e manipolazione sofistica è obiettivo di una vita associativa pienamente autocosciente.
Il lavoro da fare è enorme, anche perché la tecnologia fornisce potenti strumenti ai manipolatori più o meno occulti. La tecnologia che ridisegna la propria identità online e permette a persone comuni di apparire come migliori dietro uno schermo viene utilizzata sistematicamente anche dai politici per esprimere sé stessi. Social network e social media permettono, nota Baldi (2022, p. 81), “di creare un’identità di rete personale (impression management), manipolabile dall’utente in modo da consentirgli di presentarsi nel cyberspazio come preferisce”. Il che vale anche per gli stessi politici; anche loro sono utenti che manipolano la propria identità, con l’obiettivo di raccogliere voti. Internet, dice, Baldi (2022, p. 82), con le sue dinamiche sociali e social, si presta bene a creare l’ambiente adatto per la manipolazione:
La disintermediazione si accompagna all’indebolimento della capacità di distinguere la realtà dalla finzione. È quindi un portato della comunicazione sui social, che hanno vetrinizzato la narrazione di sé rendendo meno riconoscibile il vero dal verosimile e sovrapponendo il vissuto alla verità. Non a caso possiamo caratterizzare l’uso manipolativo e misinformativo prodotto dai social, e più in generale sul web, come il risultato di una crisi profonda e di disuguaglianze cognitive radicate nel corpo sociale.
Nota anche Anna Carola Freschi (2019, p. 563):
Da almeno un decennio, alla preoccupazione per i sistemi di sorveglianza statuale di massa se ne sono aggiunte altre, relative alle minacce di manipolazione dell’opinione pubblica attraverso notizie false, disinformazione mirata, diffusione del linguaggio d’odio. Le minacce a libertà di espressione e pluralismo, precondizioni per la formazione di una libera opinione pubblica, appaiono globali e, quel che è peggio in una società ampiamente digitalizzata, la Rete sarebbe il luogo principe di questa deriva della comunicazione.
Ma c’è qualcuno che vuole essere più manipolatore tra i manipolatori: il populista. Potremmo stabilire che c’è una quota di manipolazione socialmente accettata che rientra sempre tra le abilità del Politico. Il populista compie un passo in più, assumendo un carattere eversivo (cfr Laclau 2019). Per lui la politica è un mezzo per raggiungere lo scopo in nome e per conto del popolo: intende sovvertire le istituzioni guidate da un personale politico non in grado di soddisfare gli interessi della “gente”, un personale politico guidato da interessi personali, magari in associazione con altri non meglio precisati poteri “forti” che minacciano l’unità indistinta del popolo. Un cardine dell’ideologia populista, d’altronde, osservano Cas Mudde e Cristóbal Rovira Kaltwasser (2020, pag. 37), è costituito dalla “nozione di volontà generale”. Facendo ricorso a quest’ultima, gli attori ed elettori populisti “alludono ad una peculiare concezione politica”, strettamente legata al lavoro del filosofo Jean-Jacques Rousseau, che distinse tra la volontà generale e la volontà di tutti:
La prima si riferisce alla capacità del popolo di unirsi in una comunità e di legiferare per realizzare l’interesse comune; la seconda denota la semplice somma degli interessi specifici in un dato momento. Significativamente, la distinzion monistica e morale tra il popolo puro e l’élite corrotta operata dal populismo rafforza l’idea che la volontà generale esista (Mudde e Kaltwasser 2020, pag. 37).
Per un populista, i partiti e le istituzioni in senso tradizionale hanno terminato la propria funzione, dunque devono essere sostituiti. Per un populista la politica e le istituzioni sono la prosecuzione del popolo con altri mezzi. Per un populista, la cui specificità sta nell’a-politicità della propria condotta, la persuasione non è sufficiente. Come Zelig assume costantemente le sembianze di altri, così il populista muta la propria forma e sempre giustifica le proprie evoluzioni in nome del popolo, la cui definizione è cangiante come la natura che esso stesso incarna. La manipolazione è necessaria per far dimenticare in fretta all’elettorato che cosa si è promesso e detto fino a poco tempo fa.
Parleremo di Trump nelle prossime pagine. Intanto però possiamo osservare che, stando alle nostre parti, l’Italia ha una storia feconda di movimenti populisti che vedevano nelle istituzioni tradizionali il fallimento di leadership e partiti. In Italia, ultima in ordine cronologico, ma non d’importanza, anche solo in senso deteriore, è la storia politico-istituzionale del Movimento Cinque Stelle, partito fondato da Gianroberto Casaleggio e Beppe Grillo, oggi guidato da Giuseppe Conte, già presidente del Consiglio. Il Movimento Cinque Stelle è nato in odio alla politica tradizionale, segnatamente quella di centrosinistra, come testimonia anche l’intenzione irrealizzata di Grillo di candidarsi alle primarie del Pd del 2009 e come testimonia l’identificazione dei partiti progressisti nel nemico da abbattere secondo una lunga e stratificata storia di attacchi politici lanciata dai Cinque Stelle nei confronti della sinistra. Dopo una fase, non breve, di antipolitica fuori dalle istituzioni, il M5S si è perfettamente integrato nel sistema. Ha governato con tutti i maggiori partiti
italiani, a esclusione di Fratelli d’Italia. A guidarlo oggi c’è Conte, la cui figura è interessante per la nostra argomentazione. Professore di diritto privato, “avvocato del popolo” secondo una nota autodefinizione, già presidente del Consiglio per due volte, Conte ha governato indistintamente con la Lega e con il Pd. Ogni volta il pater familias degli italiani (altra autodefinizione) sembra incapace di mantenere un legame con la propria memoria politica. Quando gli si chiede conto dell’attività politico-istituzionale di Matteo Salvini, suo ministro dell’Interno, Conte sfugge ai controlli giornalistici. Come quando in occasione dei processi in corso parla degli sbarchi negati da Salvini – illegittimamente, dice l’accusa – e spiega che il segretario della Lega si è sempre mosso in totale autonomia da ministro dell’Interno. Magari i giudici dimostreranno che Conte ha ragione, ma è il presidente del Consiglio che, stando all’articolo 95 della Costituzione italiana, “dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei ministri”. Ne è responsabile, appunto. Invece nel tentativo di autoperpetuare sé stesso, Conte non conserva il proprio passato12. L’assenza di memoria favorisce la manipolazione.
Negli Stati Uniti, anche in virtù della sua tradizione storico-politica bipartitica, non esistono partiti come il M5S e la Lega. Ci sono due partiti mainstream, il Partito Repubblicano e il Partito Democratico, pronti a raccogliere le varie sfumature della società. Da quando Trump si è affacciato sulla scena politica, nel dibattito pubblico statunitense si parla di trumpizzazione del Grand Old Party e populistizzazione della società, anche se gli Stati Uniti hanno una antica tradizione di politici populisti.
Il percorso di trasformazione ed estremizzazione dei Repubblicani è stato affrontato da numerosi studiosi, come Heather Cox Richardson (2014) e E.J. Dionne Jr. (2016). Trump ha plasmato il Partito Repubblicano a sua immagine e somiglianza, riuscendo a raggiungere agilmente la nuova nomination per le elezioni presidenziali del novembre 2024, non trovando grandi resistenze dagli avversari che lo hanno fronteggiato alle primarie del G.O.P. Da Nikki Haley a Ron DeSantis, nessuno di loro è stato in grado di impensierire l’ex presidente degli Stati Uniti d’America.
Per raggiungere un simile risultato, Trump ha potuto contare anche sull’uso dei social media. Come Twitter, che sarà analizzato nel secondo capitolo della presente trattazione.