Non deve stupire la progressiva dissoluzione del M5s, di cui parlo oggi con Marco Tarchi nella newsletter riservata agli abbonati. Certo, la velocità con cui si sta configurando resta impressionante:
“L’istituzionalizzazione non poteva essere evitata, ma colpisce la rapidità con cui tanti ‘uomini (e donne) nuovi’ portati dal M5S in parlamento si sono affezionati ai privilegi della carica. La classica storia dell’incendiario che diventa pompiere”,
mi dice l’eminente politologo, tra i massimi studiosi europei di populismo.
La storia politica è piena di rottamatori che volevano usare il lanciafiamme contro i micronotabili e poi si sono trovati ad adoperare l’idrante proprio perché non potevano fare a meno dei cacicchi.
Il punto è che se la tua fortuna dipende solo dalla tensione politico-sociale che riesci a instaurare e mantenere fuori dal Palazzo, allora non hai margini di crescita. È un problema che ha colpito anche Renzi (ed è una delle questioni che vorrei affrontare in un seguito del pezzo sul “viale di Rignano”): una volta sparata la pallottola dell’outsider, non si può mantenere lo stesso schema. Altrimenti c’è la certezza – non il rischio – di essere travolti.
Beffarda la politica, eh? I Cinque stelle – giunti ormai alla fase “che fai, mi cacci?” – si sono innamorati della “casta” che dicevano di odiare (non da ora, peraltro). Varrebbe la pena passare in rassegna gli ultimi anni di potere grillino e ricostruire i vari passaggi.
Ma vi ricordate l’incredibile vicenda di Giulia Sarti, ormai sepolta sotto le macerie? Mi è tornata in mente leggendo le cronache di queste ore sugli scazzi interni al M5s. Un caso esemplare, che forse riassume tutto la vicenda del partito di Grillo e Casaleggio.
Giulia Sarti è il Movimento cinque stelle, un partito che mette a punto leggi da cerbero della morale indicando la presunta differenza fra la casta e l’anticasta, anche se alla fine il risultato è che pure i parlamentari grillini semplicemente coltivano il desiderio di essere come tutti.