Lo scrittore Paolo Nori (l’ultimo libro è “Sanguina ancora. L’incredibile vita di Fëdor M. Dostojevskij”, pubblicato da Mondadori) ha raccontato, in una diretta su Instagram martedì scorso, un episodio sconcertante:
“Dovevo cominciare mercoledì - non domani, quello dopo - un corso di quattro lezioni sui romanzi di Dostojevskij. Un corso gratuito, aperto a tutti”. E invece no. Martedì, Nori ha ricevuto questa email dall’Università Milano-Bicocca:
“Caro professore, questa mattina il prorettore alla didattica mi ha comunicato la decisione, presa con la rettrice, di rimandare il percorso su Dostojevskij. Lo scopo è quello di evitare ogni tipo di polemica, soprattuto interna, in quanto momento di forte tensione”.
Dunque, ha detto Nori quasi in lacrime - dopo aver raccontato che a Reggio Emilia hanno cancellato una mostra del fotografo russo Alexander Gronsky - “non solo essere un russo vivente è una colpa, oggi, in Italia: anche essere un russo morto che, quando era vivo, nel 1849, è stato condannato a morte perché aveva letto una cosa proibita. Quello che sta succedendo in Ucraina è una cosa orribile e mi viene da piangere solo a pensarci”, ma “queste cose sono ridicole. Una università italiana che proibisce un corso su Dostojevskij… Quando ho letto questa email non ci credevo… Bisognerebbe parlare di più di Dostojevskij”.
Nori ha ragione. Non perdiamo la testa, per favore.
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