Appunti per quando finirà la ricreazione
Maurizio Landini ft. Campo Largo sperava di liquidare il governo Meloni via referendum, in anticipo sulle elezioni politiche. Un referendum caotico con cinque quesiti che tenevano insieme il regolamento di conti a sinistra sul Jobs Act (contro Matteo Renzi) e l’apertura della cittadinanza agli stranieri (contro Matteo Salvini), con il dimezzamento “da 10 a 5 anni dei tempi di residenza legale in Italia dello straniero maggiorenne extracomunitario per la richiesta di concessione della cittadinanza italiana”.
Non è finita bene, per più di un motivo.
La partecipazione complessiva è stata inferiore al 30 per cento (29,9 a essere precisi) tenendo conto del voto all’estero. Ma nelle interviste del dopo partita abbondano i calciatori pronti a dire che la squadra ha giocato bene anche se si poteva far meglio, gli infortuni non hanno certo aiutato, e poi c’è stato qualche episodio sfortunato, ah, certo, naturalmente!, l’arbitro, quel rigore mancato…
Landini, ispiratore della maggior parte dei quesiti, non si sente messo in discussione come segretario della CGIL. Lo ha detto, lo ha ripetuto. Resterà al suo posto. Se la spallata contro Meloni fosse riuscita, invece, avrebbe chiesto le dimissioni dell’esecutivo. Sperava di risvegliarsi Sergio Cofferati e invece esce pesantemente ridimensionato dai risultati referendari. Eppure prova a dare la colpa agli altri, segnatamente il governo:
“Una certa politicizzazione dei referendum non ha permesso di discutere di contenuti. Negli ultimi giorni alcuni esponenti di governo interrogati sui quesiti non sapevano i contenuti e contemporaneamente chiedevano di non andare a votare. Un elemento di responsabilità grave. Non stanno mettendo in discussione la Cgil, in gioco c’è la democrazia del Paese”.
Invitare all’astensione non è un assalto alla democrazia. Non è lesa maestà. Quanto alla politicizzazione dei referendum, a chi si riferisce Landini? Non è stato lui il primo a politicizzare il tema del lavoro?
Ma non è nemmeno questa la parte più interessante del post partita referendario. Non lo è la contesa sui milioni al voto (a proposito: ma non c’è uno che si alza in piedi e dice che paragonare i voti del referendum con i voti delle elezioni politiche è una scemenza? Quando arriva il momento Fantozzi / Corazzata Potëmkin?).
Non lo è nemmeno tutto questo all you can eat delle frasi fatte in difesa del risultato, che si cerca di manipolare spiegando che in realtà il centrosinistra ha vinto e può ripartire da lì. Ma non vuol dire niente. Si riparte sempre da qualche parte, da qualche risultato; persino l’Inter può ripartire dal 5 a 0 rimediato contro il PSG.
No, l’aspetto più interessante viene fuori dal quesito sulla cittadinanza. Mentre in tutti gli altri casi i SI sono superiori all’85 per cento, nel caso del dimezzamento dei tempi di residenza legale per avere la cittadinanza i SI si sono fermati al 65 per cento. Guardiamo i numeri: oltre 9 milioni e 700 mila persone hanno votato SI, ma oltre 5 milioni e 100 mila persone hanno votato NO.
Sarebbe interessante capire chi c’è fra questi 5 milioni che hanno votato NO. Sono sempre elettori di sinistra? Sono elettori dei Cinque Stelle che hanno udito il richiamo della foresta dei vecchi decreti Sicurezza ft. Salvini? Che cosa aspetta il Pd a capirci qualcosa di più? Chi siete? Da dove venite? Un fiorino!
In ogni caso, se in un referendum che serviva per regolare i conti a sinistra i voti su un quesito sull’immigrazione non sono esattamente come i promotori si attendevano (niente quorum, molti no) forse c’è un problema per il Campo Largo e dintorni.
Come sarebbe andata a finire se Meloni e la sua maggioranza di destra-centro avessero dato indicazione di voto per partecipare ai referendum e votare NO? Domande che mi domando.