Fare il portavoce è un mestiere usurante
Fare il portavoce o il capo della comunicazione in politica è un mestiere complicatissimo. Ne sa qualcosa anche Mario Sechi, in uscita da Palazzo Chigi dopo essere arrivato pochi mesi fa, a marzo.
Nuova puntata delle Pecore Elettriche.
La puntata si può ascoltare anche qui.
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Vi segnalo una bellissima recensione di “Quale Pd” di Francesco Gerardi su Rivista Studio, diretta da Cristiano De Majo.
Dopo la svolta della Bolognina imboccata nel 1990 da Achille Occhetto, Nanni Moretti decise di raccontare lo spaesamento e la tristezza degli elettori del Partito comunista italiano in un documentario intitolato La cosa. Il film fu definito la cronaca – quella e basta, Moretti non diceva nemmeno una parola e non si vedeva manco per un secondo in un’ora e mezza di documentario, fatto per lui più unico che raro che dimostra la drammaticità degli eventi – di «un momento unico di autocoscienza collettiva nella storia della sinistra italiana». Era una cosa drammatica, La cosa: dentro c’era il militante comunista che raccontava di essersi separato dalla moglie per dedicarsi anima e corpo al partito in questa delicata fase di transizione storico-politica, c’era l’elettore del Pci romano che sosteneva che per salvarsi il partito doveva tornare alla purezza delle origini e alla durezza di obiettivi come «smembra’ er Vaticano». È a suo modo commovente, La cosa: a guardarlo viene da mettersi nei panni di quelle persone alle quali veniva tolta improvvisamente una cosa tanto cara, e poi viene da chiedersi com’è stato possibile che una cosa come un partito fosse diventata tanto cara a tante persone. Più che un’autocoscienza collettiva, La cosa è – a posteriori, ovviamente – un’elegia funebre scritta a milioni di mani.
Ho ripensato al film di Moretti leggendo Quale Pd – Viaggio nel partito di Elly Schlein di David Allegranti (Laterza) e mi sono detto che alla fine la differenza tra l’antenato Pci e l’erede Pd è tutta qui: il Pd può essere certamente – ed è spesso – soggetto di autocoscienza collettiva, ma non sarebbe – e non sarà mai – oggetto di un’elegia funebre. L’operazione di Allegranti è assai meno neutra di quella che il titolo del libro suggerisce: più che un viaggio nel partito di Elly Schlein, il libro è una cronaca dello stesso fino all’elezione dell’ultima (in un senso della parola che più volte viene sottinteso come non solo né necessariamente cronologico) segretaria. Come Moretti, pure Allegranti si mette lì e osserva ed evita quasi tutti i commenti, anche se qualcuno ogni tanto gliene scappa comunque.